Happiness is real only when shared, diceva quello lì di Into
the wild, mentre, dopo essere sopravvissuto a orsi e gelo, moriva come un fesso
per un paio di bacche.In linea di
massima sarei anche d’accordo, certo dipende da che si intende per felicità.
Per esempio felicità per me in questo momento sarebbe una cosa del genere:
Non
è sociopatia, non mi è mai pesato condividere case; tra le coinquiline che ho avuto ho trovato alcune ottime amiche e poi, quando uno ti vede
in pigiami improponibili con il mollettone in testa e i capelli da lavare, siete
uniti per sempre.
Ma la felicità è fatta di piccole cose, si sa. Tipo avere un solo spazzolino in bagno, poter
uscire senza aver lavato i piatti. Avere dei punti saldi in un momento di forte instabilità, per esempio la certezza
che se hai comprato la carta igienica poi la troverai di sicuro, e non ci sarà
un malcapitato scottex in bella vista.
Però siccome la felicità spesso viaggia insieme a uno
stipendio, mi sa che deve aspettare. Sto cercando una stanza, in appartamento condiviso, così gli
piace scrivere sugli annunci. Dopo aver passato in rassegna annunci per soli
gay, per sole ristoratrici (?) per sole ragazze con referenze ETICHE (si fa un
corso al Vaticano dove ti rilasciano le referenze etiche?), per richieste di “graziosa
presenza femminile”(con funzione di arredamento immagino), ho visto loculi
spacciati per camere, gente entusiasta che con estrema serietà mi mostrava le
rifiniture delle maniglie dell’armadio, 40enni molto city e così a occhio, poco
sex, che mi osservavano come se avessi
15 anni, e infine ho trovato una casa adatta. Coinquilini simpatici, posizione
prezzo etc.
Ma dato che le attese dilazionate nel tempo e nello spazio
sono la dimensione che è stata scelta per me in questa vita, per la prima volta
sono incappata nel fantomatico colloquio con i coinquilini. Per chi non
sapesse, è il caso in cui i proprietari delle case si occupano solo delle
questioni del vil denaro e delegano agli inquilini la scelta del nuovo arrivo. I
quali prendono la faccenda molto sul serio e a seconda dello zelo, avviano
tempi indefiniti di accurate selezioni. Ho sentito di casi di gente che aveva la cartelletta degli appunti per i candidati e immagino che molti avranno anche un tabellone in cucina con
le facce da eliminare. Adesso nell’attesa,
la casa in questione è diventata nota come la casa del Grande Fratello.
Nel mio caso, è stato tutto molto easy e
cordiale, devo dire. Ma uscita da lì, dopo il “ti facciamo sapere”, nella mia mente si sono affollati gli echi
sinistri di questo. Almeno in un colloquio di lavoro sai più o
meno cosa dire. Che cosa devi raccontare esattamente in un colloquio per avere
una stanza? Di goliardiche storie di coinquilinaggio passate, per mostrare la
tua estrema simpatia e socievolezza? Di metodologie e tecniche di pulizia del
bagno? Da che parte stai nell’annoso dilemma tra il salare l’acqua prima o dopo
la pasta? Una prova pratica di cambio della lampadina?
E se non mi vogliono,
gli devo chiedere perché? Tipo, siete del partito contro le ballerine, che io indossavo
quel giorno? Pensate che sembro un’irrimediabile stronza? Avevo uno smalto
troppo vistoso? Forse non dovevo dire che non conosco la serie TV che vi piace?
E soprattutto, se non mi vogliono, qualcuno mi dirà che non
mi meritavano?