E quindi vado a Londra.
Vi autorizzo a denunciarmi alla polizia postale se dovessi
pubblicare anche solo una volta “London calling” dei Clash. Altro che London
calling; London non rispondeva proprio al telefono. Pareva una di quelle che “aspetto
che mi chiami lui”. Poi, per la legge della probabilità delle applications,
quella che invii più a caso di tutte va bene.
Non è la prima volta che vado all’estero per un po’, ma ogni
volta è bello osservare come ci siano cose che non cambiano e altre che si
mettono al passo con i tempi, diciamo così
.
Esempi del primo
tipo. Reazioni di chi ti sta intorno pochi giorni prima della partenza:
1)
Madre e nonna che mi fanno mangiare come se non
ci fosse un domani. Un tripudio di “mangia, che chissà quando lo rimangi così”.
2)
Padre che mi invita a non scordarmi la carta di
identità/documenti vari, almeno tre volte al giorno. Pago ancora lo scotto di
essermi dimenticata lo zaino a casa, quella mattina in quinto ginnasio. La mia
reputazione non si è mai ripresa.
3)
Sorelle-amiche/i- conoscenti-gente vista due
volte nella vita che “non ti saluto, tanto ti vengo a trovare”
4)
“Ah, vai a Londra? (a fare un tirocinio-
tirocinio=lavoro=lavoro malpagato)? DIVERTITI.
Esempio del secondo tipo, AKA: tempus fugit
1)
IC: “eh si, vado all’estero per qualche mese”
Reazioni di gente X tre anni fa: “Ahhh ma
che bello, brava, sarà una bellissima esperienza!”
Reazioni di gente X oggi: “Ah. Ma…non ce
l’hai un fidanzato?”
2)
“Yayaaa, miao, tau”. (trad: ziaaa, miao, ciao).
Reazione di nipote unenne, che in ogni caso susciterebbe un “Awwww” corredato
di occhi a cuoricino.
E poi veniamo al sempiterno dilemma: la valigia. Se volete
male a qualcuno, chiedetegli di preparare una valigia per il periodo
settembre-gennaio. E di farlo mentre fuori ci sono 28 gradi con lo scirocco che
fa volare i pelucchi dai maglioni di lana che state amorevolmente riponendo in
valigia. La prossima volta che parto, sarà per un posto non più a nord
dell’Ecuador (disse colei che aveva studiato russo).
Inutile dire che la scelta di vestiti si rivelerà in ogni
caso irrazionale: passerai un paio di mesi a rimpiangere periodicamente quel
fantastico vestitino che hai lasciato a casa. Oppure una fantastica felpa che
hai lasciato per portare uno splendido vestitino. E no, non rispondete “tanto
poi lo compri lì”, perché è una questione di principio.
Nonostante la proverbiale logica random delle mie valigie,
qualcosa l’ho imparato in questi anni. Ad esempio, al primo viaggio di qualche
anno fa, guardavo con fare sprezzante chi proponeva di portare la moka. Quanto
provincialismo, quanta rigidità culturale e bla bla bla… Dopo i primi sintomi
di attacchi narcolettici in università e le lodi sperticate alla mia amica L.
che portò la sacra reliquia in terre lontane,
colcà che ora non mi porto dietro la moka.
Comunque, sono
contenta di partire. Mi piace proprio quest’aria di novità, la sensazione di
cose che si costruiscono, senza pensare troppo a quanto dureranno.
E poi, Il brivido di non sapere con quanta gente improbabile
dividerai il bagno, quanto reagiranno male i tuoi capelli all’umidità
quotidiana o quante volte metterai alla prova il tuo senso dell’orientamento
già sofferente.
Rispetto all’ultima partenza, fatta di
noCasa-15kgDiBagaglio,FottutaRyanair- ditoRotto-noPostiInTreno-scioperoAereiFottutissimaRyanair-TrolleyRotto-coppieRegolarmenteCopulantiInOstello,
questa è tutto sommato tranquilla.
A parte un piccolo problema: Il trolley rotto di cui sopra.
Una persona previdente e organizzata sa che al suo rientro bisognerà sistemare
quella rotella rotta. Non è il mio caso, of course. L’orrida scoperta risale a
due giorni fa. Segue intervento d’urgenza presso ATTENZIONE, il “Maestro della
calzatura”. Sua altezza il Maestro assicura orgoglioso che è più probabile che
cadano le altre rotelle piuttosto che quella che ha riparato lui. Che è ben
fissata, senza dubbio. Talmente ben fissata che non si muove più. Ed è più
sporgente delle altre. Risultato: la valigia sbanda.
Insomma, la viaggiatrice piena (di entusiasmo) e la valigia
ubriaca.