Il treno è decisamente il mio mezzo di trasporto preferito, perché non è asfittico come il pullman, non richiede organizzazione come l’aereo e soprattutto mi consente di farmi i fatti altrui in libertà, pur continuando ad essere sociopatica al tempo stesso (cosa che non è consentita in macchina, dove lo spazio ristretto ti fa sentire in dovere di intavolare conversazioni. Poi lì subentra il fattore silenzio imbarazzante. Ma questa è un’altra storia). Insomma, fin da piccola amavo stare a sentire i discorsi dei miei vicini o anche solo osservarli e fantasticare sulle loro vite, sulle loro destinazioni. Quando poi ho letto Sonata a Kreutzer, ammetto di essere proprio entrata in fissa, lanciandomi in ambiziose metafore tra treno e vita, fomentata ulteriormente da Anna Karenina, dove pareva che tutto succedesse in treno (o anche sotto). Non a caso, i binari sono tra i miei soggetti fotografici preferiti, perché mi sembra che rendano bene l’idea di un percorso lineare nonostante la diversità dei paesaggi e dei climi che attraversano, riuscendo a trasmettere una serenità di fondo pur non avendo una meta visibile. E poi perché fa molto bohemienne decadente, of course.
La vita da studentessa fuori
sede ha accontentato questa mia tendenza e di conseguenza, molte ne sono passate sotto questi occhi e
orecchie. Ma l’ultima sembra aver superato ogni
limite della mia fervida
immaginazione. Si sa, l’ultima sembra sempre la migliore ma questa non mi
stancherò mai di raccontarla. Sento la necessità di tramandarla ai posteri.
Ambientazione: lurido treno
regionale. Durata prevista: 3 ore. Fermate previste: innumerevoli.
Iron(y) Curtain fa il suo
ingresso sulla scena, devastata dall’orrida scoperta che non sembrano più esserci
posti a sedere e già cominciando a rimpiangere di essere nata in quest’epoca
dove il buon senso degli uomini suggerisce di cedere il posto solo a molto vecchi e
molto bambini invece che a giovani donne in piena salute. Proprio mentre pensa
a quanto sia meschino il solo pensiero di rinnegare biecamente tutti gli ideali
di parità e indipendenza solo per poggiare le nobili terga su un sudicio
sedile, avviando una digressione mentale sulla volatilità delle convinzioni
umane, intravede un posto libero. E non era affatto facile vederlo, visto che tutta l’attenzione
era catalizzata dalla pelliccia bianca della donna seduta vicino.
Nell’avvicinarsi e nel chiedere cortesemente
se il posto fosse libero, IC rimane accecata dal trucco oro-turchese della
donna in questione, che non contenta, aveva pensato di mettere anche una matita
marrone a segnare il contorno labbra,
corredata di rossetto rosso per non correre il rischio di sembrare
eccessivamente sobria. IC si siede ed è troppo presa dallo stupore del
realizzare che la donna, sui 35 anni, indossa delle calze a rete bianche -l’ultimo
esemplare era stato avvistato nel 93’- per accorgersi subito di un uomo di
mezza età seduto di fronte, che con fare ammiccante si rivolgeva alla signorina
affrontando il più scontato dei discorsi in treno: i disagi del treno. Insomma,
a parte l’abbigliamento, comodo e adatto per un viaggio alle 10 di mattina,
tutto sembra molto banale, al punto che IC decide di accendere il lettore mp3 e
immergersi subito nella sua sociopatia da viaggio. Prima però, mentre IC cerca
di cavare roba utile dall’universo parallelo che è la sua borsa, quello che
diventerà il nostro eroe riceve una telefonata, nella quale emette solo dei
seccatissimi monosillabi e farfuglia una mezza litigata. È dalla spiegazione
che ne segue che IC capisce le potenzialità della situazione.
Uomo: “Sa, era la mia compagna. [segue
descrizione della sua vita. Separato, due figli, di cui uno sposato, convive da
dieci anni, figlia di lei a carico]. Diciamo che ci vogliamo bene, ma lei è
pesante. Troppo gelosa. Per esempio, adesso mi ha chiesto: “ci sono delle donne
in treno?” e io: “si” “e sono belle?” e io: (sguardo con la carica sexy di una
sedia a dondolo): “devo dire proprio di si”.
Donna: (ride) bè, è un po’ stupido
da parte sua. Le donne sono dappertutto. E poi, mi scusi, ma credo che neanche
George Clooney sia assalito da tutte le donne che incontra.
Insomma, la signorina si rivela più
acuta del previsto e piuttosto divertita dalla situazione. Lui, spiazzato dall’imprevista
difficoltà della situazione, decide di sfoderare quella che evidentemente
ritiene la sua arma migliore: la cultura. Il tutto nel lessico tipico del
napoletano che parla solo in dialetto che cerca di esprimersi in italiano,
quindi sfoderando termini desueti e fuori luogo (la mia “abitazione” si
trova..etc etc) Si presenta come geologo, ma spazia dal citare libri di ARMANDO
Camilleri al dire la sua sulla PRECARIEZZA dei giovani, non disdegnando massime sull’importanza dei valori delle
donne che al giorno d’oggi si sono persi. Su quest’ultimo argomento si sente in dovere di
chiedere alla donna “che professione svolgesse” (lessico legato alle motivazioni
di cui sopra).
D (placidamente): “Animazione
notturna”
U (avvio di espressione
inebetita):”in che senso?”
D: “lap dance”
U (espressione a questo punto
totalmente inebetita, unita a punta di compiacimento): “Ah”
U (cercando di ricomporsi, ha la
geniale intuizione di proseguire così): “Non l’avrei mai detto”
D (che nel frattempo si guadagna
sempre più l’ammirazione di IC): ma va là, se sono partita direttamente dal
lavoro.
U (risata nervosa, ma sempre più
illuminato, riesce a mettere in fila una gaffe dietro l’altra): “beh, mi fa
piacere. Cioè, perché “dicono” che a volte ci sono certi cessi a fare la lap
dance! Invece lei si vede che è portata. Ma poi a una certa età si può ancora fare?
(no, ti chiamano dall’INPS per darti il pensionamento per usura (IC))
D: “certo, se ti alleni e ti
mantieni bene. Io lo farei anche un altro lavoro, ma non si trova nulla. E mio
figlio devo mantenerlo, perché il padre non l’ha riconosciuto”
U (sentendosi sempre più sul set
di “Strip- tease”: eh, sono problemi quando capita. Però si vede che sei brava.
( a fare che non è dato sapere).
La conversazione si tronca. Lei
chiaramente non vede l’ora di arrivare. Lui è imbarazzato. IC continua a
fingere di leggere e ascoltare la musica contemporaneamente, per non destare
sospetti. Nel frattempo, riesce quasi ad intravedere l’omino del cervello di
lui che si affatica per cercare un argomento di cui parlare. Fino a che decide
che è il caso di passare alla cronaca. Che all’epoca dei fatti, non era altro
che il naufragio della Costa Concordia. In quanto geologo, si sente di dare un’opinione
tecnica su come spostare la nave e su i vari tentativi fatti. Ne elenca
qualcuno. Si ferma. Incomincia una nuova frase. E lì il raggio di sole della
giornata di IC:
“Perché poi, per un periodo era
stata PAVIMENTATA l’ipotesi che…”
D’altra parte l’aveva detto che
lui era un tecnico. Il pragmatismo di pavimentare le ipotesi, di abbandonare la
fittizia oscurità del condizionale (spesso e volentieri anche del congiuntivo).
Genialità.
Epilogo: potrebbe essere successo
altro dopo. Potrebbe essere passata un’ora. Ma IC ha smesso di essere consapevole
di tutto il resto dopo quella frase, non riuscendo a pensare ad altro. L’uomo
potrebbe averle chiesto informazioni appena scesa la donna, ma lei tutt’oggi
non è ancora in grado di riportare i fatti in maniera lucida.
P. S. morali del viaggio:
parlare sempre con gli sconosciuti, se questi sono fonte di ilarità.
Non disperare per possibili stati di inoccupazione. L’animazione notturna ti fa guadagnare e ti tiene anche in forma. Nel caso non fossi portata, anche aprire un punto vendita di calze a rete e maquillage per animatrici notturne sarebbe un’attività redditizia.
parlare sempre con gli sconosciuti, se questi sono fonte di ilarità.
Non disperare per possibili stati di inoccupazione. L’animazione notturna ti fa guadagnare e ti tiene anche in forma. Nel caso non fossi portata, anche aprire un punto vendita di calze a rete e maquillage per animatrici notturne sarebbe un’attività redditizia.
P.P.S. L’epilogo è stato molto più
chiaro di questo. Ma se l’avessi rivelato vi avrei tolto il gusto di
pavimentare ipotesi.
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