Saturday 13 October 2012

Ritratto d'intern








Questo e’ quello che si vede dall’ufficio. Degli altri. Perche la intern room e’ nel piano semiterrato, da dove si vedono sostanzialmente culi da prospettive poco appetibili. Mi sembra gia’ un’ ottima metafora della nuova (?) vita da stagista. Anyway, nonostante la location, devo dire che questa vita non è niente male. Il lavoro è una figata, sono contenta.
Certo, ci sono poi dei piccoli problemi, che provvederò ad elencare di seguito. (Si è capito che mi piace fare elenchi?)

1)       Sono tutti molto gentili in ufficio. La prima volta. Alla terza  presentazione, corredata di ampi sorrisi, si intuisce che hanno una scaletta prestabilita, che nell’ordine prevede:

             Hi, let me introduce myself…
            Who are you working with?
            Which project?
            Oh, I see. I am working on…
            See you!

Dopo di che, l’oblio. Vaghi cenni di saluti in entrata e in uscita, il massimo della socialità è uno scambio di battute sulla lentezza dei computer. Il lato più inquietante è che generalmente questi non alzano il culo dalla sedia neanche per cose di elementare sopravvivenza, tipo nutrirsi, andare in bagno. (dalle mie parti, il savio dice: “non mangia per non cagare”). La pausa pranzo? What?  L’immediata conseguenza è che tu, che usi mangiare e magari distrarti ogni tanto, ti sentirai una fancazzista anche solo a soffiarti il naso.

Le postazioni computer sono vicine tra di loro, per cui non puoi neanche cazzeggiare amabilmente davanti a siti random. Per dire, ogni tanto per sballarmi vado sul sito di Repubblica. L’unica strada che ti rimane e’ assumere un’espressione concentrata e tesa anche mentre stai scorrendo il listino dei prezzi di un’estetista, sperando che nessuno stia sbirciando sul tuo schermo.

2)      Capitolo lingua. I colleghi sono di svariate nazionalità. Il problema linguistico subentra con i locali. Perché questi inglesi parlano un inglese davvero strano. Fatalità, l’unico che azzarda frequenti conversazioni out of topic, è inglese. Il che sarebbe davvero carino, se non fosse che capisco la metà di quello che dice. Per cui, mi prodigo in sorridenti assensi e varie tonalità di “Yee” . Prima o poi proverà ad insultarmi per vedere se rido ancora. O forse l’ha già fatto.

3)      Capitolo pranzo. C’è questa imponente signora inglese (che forse è una ragazza) che si aggira per gli uffici con un tristissimo trolley lunch, ricco di sandwhich dai contenuti discutibili. Tra un giro e l’altro, esercita una specie di mobbing. Ho un rapporto travagliato con il suono di quelle rotelle che si avvicinano. Mentre stai cercando di scegliere il panino meno peggio, lei ti fissa. Se ci metti più di 10 secondi, fa passare quelli che sono dietro (che sono tipo 2, eh). Lo fa per confonderti ancora più le idee, è certo. Ma il bello è che, dopo la sudata scelta, ti mette in crisi dicendo: ARE YOU SURE?” . Devo specificare anche che i suoi baffi non aiutano a mantenere la concentrazione molto a lungo; esemplari visti raramente. Comunque, si fa sempre più strada la tesi che sia una delle risorse umane che testa la tua capacità di lavorare sotto pressione.

4)      Ringraziamenti. Non ti parlano, ma ti ringraziano sempre. Per esempio, ho rotto le palle per tre giorni a quelli dell’IT perché avevo problemi con le password. Abbiamo avuto una fitta corrispondenza e ho anche creduto che a un certo punto mi avessero messa nello spam. Però alla fine, in ogni caso: MANY THANKS.

5)      Abbeveramento. In ufficio, come in tutti i luoghi civili che si rispettino, ci sono i distributori di acqua for free.  Ora, io non so cosa ci sia di preciso in quel boccione. So solo che è altamente diuretico. Sebbene il percorso verso il bagno risulti il momento di massimo svago della giornata lavorativa, sento di essere responsabile della dissipazione di una buona parte delle risorse idriche britanniche.

 Però, fare la pausa pranzo qui (si, perché io faccio la pausa pranzo) non ha prezzo

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