Questo e’
quello che si vede dall’ufficio. Degli altri. Perche la intern room e’ nel
piano semiterrato, da dove si vedono sostanzialmente culi da prospettive poco
appetibili. Mi sembra gia’ un’ ottima metafora della nuova (?) vita da stagista.
Anyway, nonostante la location, devo dire che questa vita non è niente male. Il
lavoro è una figata, sono contenta.
Certo, ci
sono poi dei piccoli problemi, che provvederò ad elencare di seguito. (Si è
capito che mi piace fare elenchi?)
1) Sono tutti molto gentili in ufficio. La prima
volta. Alla terza presentazione,
corredata di ampi sorrisi, si intuisce che hanno una scaletta prestabilita, che
nell’ordine prevede:
Hi, let me
introduce myself…
Who are you working with?
Which project?
Oh, I see. I am working
on…
See you!
Dopo di che,
l’oblio. Vaghi cenni di saluti in entrata e in uscita, il massimo della
socialità è uno scambio di battute sulla lentezza dei computer. Il lato più
inquietante è che generalmente questi non alzano il culo dalla sedia neanche
per cose di elementare sopravvivenza, tipo nutrirsi, andare in bagno. (dalle
mie parti, il savio dice: “non mangia per non cagare”). La pausa pranzo?
What? L’immediata conseguenza è che tu,
che usi mangiare e magari distrarti ogni tanto, ti sentirai una fancazzista
anche solo a soffiarti il naso.
Le postazioni
computer sono vicine tra di loro, per cui non puoi neanche cazzeggiare
amabilmente davanti a siti random. Per dire, ogni tanto per sballarmi vado sul
sito di Repubblica. L’unica strada che ti rimane e’ assumere un’espressione
concentrata e tesa anche mentre stai scorrendo il listino dei prezzi di
un’estetista, sperando che nessuno stia sbirciando sul tuo schermo.
2) Capitolo lingua. I colleghi sono di
svariate nazionalità. Il problema linguistico subentra con i locali. Perché
questi inglesi parlano un inglese davvero strano. Fatalità, l’unico che azzarda
frequenti conversazioni out of topic, è inglese. Il che sarebbe davvero carino,
se non fosse che capisco la metà di quello che dice. Per cui, mi prodigo in
sorridenti assensi e varie tonalità di “Yee” . Prima o poi proverà ad
insultarmi per vedere se rido ancora. O forse l’ha già fatto.
3) Capitolo pranzo. C’è questa imponente
signora inglese (che forse è una ragazza) che si aggira per gli uffici con un
tristissimo trolley lunch, ricco di sandwhich dai contenuti discutibili. Tra un
giro e l’altro, esercita una specie di mobbing. Ho un rapporto travagliato con
il suono di quelle rotelle che si avvicinano. Mentre stai cercando di scegliere
il panino meno peggio, lei ti fissa. Se ci metti più di 10 secondi, fa passare
quelli che sono dietro (che sono tipo 2, eh). Lo fa per confonderti ancora più
le idee, è certo. Ma il bello è che, dopo la sudata scelta, ti mette in crisi
dicendo: ARE YOU SURE?” . Devo specificare anche che i suoi baffi non aiutano a
mantenere la concentrazione molto a lungo; esemplari visti raramente. Comunque,
si fa sempre più strada la tesi che sia una delle risorse umane che testa la
tua capacità di lavorare sotto pressione.
4)
Ringraziamenti.
Non ti parlano, ma ti ringraziano sempre. Per esempio, ho rotto le palle per
tre giorni a quelli dell’IT perché avevo problemi con le password. Abbiamo
avuto una fitta corrispondenza e ho anche creduto che a un certo punto mi
avessero messa nello spam. Però alla fine, in ogni caso: MANY THANKS.
5)
Abbeveramento.
In ufficio, come in tutti i luoghi civili che si rispettino, ci sono i
distributori di acqua for free. Ora, io
non so cosa ci sia di preciso in quel boccione. So solo che è altamente diuretico.
Sebbene il percorso verso il bagno risulti il momento di massimo svago della
giornata lavorativa, sento di essere responsabile della dissipazione di una
buona parte delle risorse idriche britanniche.
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